Il progresso in ambito tecnologico e telematico ha generato una nuova categoria di beni, definiti "beni digitali".
In questa categoria vengono compresi i messaggi di posta elettronica provenienti da un personaggio "famoso", le cripto valute, le fotografie realizzate da un fotografo professionista, i video e i brani musicali digitali, gli account, i programmi per elaboratore, i siti web, i blog, gli e-book, i rapporti contrattuali on-line, i progetti di un ingegnere, e tutti i documenti informatici comunque riconducibili ad un professionista, o aventi valore legale.
L'epoca che stiamo vivendo, per questo denominata "epoca digitale", vede pertanto coesistere due diversi mondi, quello reale e cartaceo, da un lato; e quello virtuale e digitale dall'altro. Due diversi modi di pensare e di organizzare le conoscenze, non tanto sotto il profilo della quantità dei dati disponibili quanto sotto il profilo delle condizioni di accesso a questi ultimi.
Logico quindi che il diritto si occupi della sorte giuridica dei dati e dei documenti elaborati o formati da un sistema di elaborazione elettronica.
In particolare in materia di successione
Con la successione, difatti, si trasferiscono agli eredi i rapporti giuridici di carattere patrimoniale, - ossia tutti i rapporti che possono essere oggetto di valutazione economica - , ma non quelli di carattere personale i quali si estinguono con la morte del titolare.
Ma è proprio sotto il profilo economico che il patrimonio ereditario digitale resta di non facile valutazione. Alle cripto valute, ad esempio, che sono monete virtuali non aventi corso legale, e che non sono regolate da enti centrali governativi, quale valore può essere attribuito? Ed ai blog e profili social sponsorizzati, che valore dare? E l'identità digitale di un influencer deceduto, gli sopravvive? E se sì, da un punto di vista economico, come gli sopravvive?
Anche la nozione di possesso dei beni digitali ereditari, insieme a quella di accettazione tacita dell'eredità, incontrano non poche difficoltà ad adeguarsi alla nuova realtà.
Accettare o meno l'eredità, per esempio, è una scelta che va compiuta con la massima attenzione. Se entro tre mesi dall'apertura della successione chi si trova nel possesso dei beni ereditari, non rinuncia all'eredità o non l'accetta con beneficio d’inventario, è considerato dalla legge erede puro e semplice.
L'accettazione dell'eredità pura e semplice determina, a sua volta, la confusione tra il patrimonio dell'erede e quello del de cuius, che diventano un tutt'uno inscindibile. L'erede sarà di conseguenza tenuto al pagamento dei debiti ereditari ultra vires e dunque anche qualora il loro valore superi quello dell'attivo ereditario.
Ma non è tutto. L'art. 476 c.c. consente l'acquisto dell'eredità anche senza una manifestazione espressa di volontà, bensì mediante comportamenti concludenti che presuppongono la qualità di erede. In altre parole, si ha accettazione tacita di eredità quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
A questo punto, è legittimo chiedersi se la conoscenza delle credenziali di accesso all'account possa essere equiparata al possesso della chiave di una cassaforte, o di un immobile; e, soprattutto, se il loro uso possa configurare l'ipotesi di un'accettazione tacita di eredità, con tutte le conseguenze sopra descritte. Questo perché sebbene le credenziali non sono tecnicamente beni digitali, costituiscono comunque il necessario strumento per l'individuazione dei beni digitali riconducibili al de cuius e, conseguentemente, per la loro trasmissione mortis causa.
A ciò si aggiunge il fatto che, soprattutto nell'ambito di una successione ab intestato, ossia in assenza di disposizioni di ultima volontà da parte del de cuius, potrebbe essere di non facile accertamento l'intenzione di quest'ultimo di mantenere riservati certi dati o informazioni o le stesse credenziali, e di non far cadere in successione determinati beni digitali, soprattutto quelli a contenuto non patrimoniale, ossia beni di esclusivo interesse individuale, familiare, affettivo o sociale.
Tenuto conto di quanto sopra, è evidente che una preventiva e articolata pianificazione successoria, al mondo d'oggi, sta diventando una necessità imprescindibile, necessità che trova i più del tutto impreparati non solo ad affrontarla, ma addirittura a contemplarla.
Un discorso a parte merita, poi, la redazione del testamento
La legge prevede il testamento possa essere redatto in forma pubblica, ossia scritto da un notaio alla presenza di due testimoni, e da questi sottoscritto insieme a chi sta disponendo delle sue ultime volontà (il testatore); il testamento olografo, ossia uno scritto privato predisposto dal testatore su un qualsiasi pezzo di carta, e poi datato e firmato; ed il testamento segreto, ossia il testamento scritto e consegnato ad un notaio che lo custodisce tra i suoi atti.
Il rigido formalismo che presiede alla redazione di un testamento appare dunque del tutto incompatibile con l’utilizzo di un personal computer: la validità del testamento redatto con l'impiego di tecnologie informatiche – inclusa la firma digitale – risulterebbe difatti infirmata, posto che oltre al problema dell'idoneità degli anzidetti strumenti tecnici all'imputazione della paternità giuridica del documento, è proprio l'autografia del documento, richiesta dalla legge quale conditio sine qua non per la validità del testamento olografo, a difettare.
Per non gravare i chiamati all'eredità della ricostruzione della propria "esistenza digitale", è dunque onere di ciascuno di noi tracciare, e conservare, un "diario", un inventario di tutti i beni materiali, immateriali e dematerializzati, con le relative credenziali, da destinare, in forma espressa ed analogica a chi vogliamo nominare/riconoscere erede, con le relative istruzioni. Una preoccupazione - ed una fatica in più - dettata dalla rivoluzione tecnologica ed informatica.
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